Roberto Mutti, per me è partito tutto con lui! Intervista con Roberto Mutti curatore, direttore artistico Milano Photo Festival, consulente fotografico dell’archivio fotografico della Fondazione 3M Scrittore Repubblica Capo dipartimento della casa d’aste Finarte
Caro Roberto, se c'è una persona che devo ringraziare per il mio percorso fotografico ed artistico è proprio lei, e il fortunato incontro al Massa Marittima Photo festival credo nel 1998 o intorno a quegli anni. Grazie a questo incontro e al suo accompagnamento ho seguito la scuola di Fabrizio Ferri a Milano, fatto mostre e poi tanta ricerca fotografica e artistica. Poi ci siamo un po persi di vista per lavoro e perchè la vita a volte ci porta in giro per il mondo ma eccoci qua!
Mi
piacerebbe, per i nostri ascoltatori che lei ci raccontasse un po quello che fa
e soprattutto le sue ultime nuove avventure!
Foto Beppe Bolchi, cortesemente concessa da Roberto Mutti |
Intanto ti
ringrazio di avermi fatto rivivere gli anni che hai ricordato: è sempre molto
bello sapere che i semi che abbiamo piantato si sono ormai trasformati in
alberi ben solidi. L’Università dell’Immagine di Ferri era una strana scuola e
noi ci abbiamo navigato giocando con la creatività. Per quanto mi riguarda, lavoro
nel campo della fotografia, come è nel mio carattere, su vari aspetti nella
convinzione che bisogna da un lato concentrarsi su qualcosa di cui diventare esperti
ma dall’altro occorre ampliare la visione, contaminare fra di loro i vari
aspetti della cultura e conoscerne tutte le sfumature. In buona sintesi
continuo da ormai moltissimi anni a scrivere sulle pagine milanesi di la Repubblica
(questo mi ha insegnato a usare gli strumenti della sintesi, a scrivere con
precisione ma per un pubblico non specialistico, a fare i conti con improrogabili
tempi di consegna) e insegno all’Istituto Italiano di Fotografia e all’Accademia
del Teatro alla Scala (qui credo di essere stato capace di trasmettere le
conoscenze in modo interessante, mai ripetitivo e sempre appassionato e di aver
imparato che ogni classe merita lezioni mirate e riproporre moduli sempre
uguali a persone diverse è un errore). Ovviamente ho curato e continuo a curare
mostre personali e collettive: lavorare con autori di fama come ho fatto con
Berengo, Galimberti, Roiter, Cresci, Basilico, Gastel, Fallai, Migliori,
Dondero e altri mi ha inorgoglito ma farlo con giovani autori e autrici che ho
contribuito a lanciare e a farsi strada è stata, se si può dire, una soddisfazione
ancora più forte. Molto bella poi la
ormai lunga esperienza di direttore artistico del Milano Photofestival che
quest’anno giunge alla diciassettesima edizione. È un festival diffuso della
durata di un mese e mezzo in varie parti della città in gallerie, spazi
espositivi, biblioteche dove diamo spazio ad autori importanti ma anche
esordienti (con una particolare attenzione al mondo femminile fatto di fotografe
ma anche curatrici e galleriste) perché spesso costoro non hanno occasione di
mettersi in luce e qui possono farlo. Sono tutte situazioni in cui affinare la
propria capacità di scorgere e valorizzare i talenti, una dote che credo
proprio di avere. Sempre a proposito di mostre sono consulente fotografico dell’archivio
fotografico della Fondazione 3M per cui progetto e curo sia monografiche su
importanti autori da Verga a Luxardo sia collettive a tema che utilizzano foto già
presenti ed altre che vengono acquisite per “ringiovanire” l’archivio. Ho una vera
passione per l’editoria e per tale ragione ho firmato libri, cataloghi,
monografie e alcuni saggi di critica e storia della fotografia. Una più recente
esperienza è stata quella di Capo dipartimento della casa d’aste Finarte: qui
ho imparato l’aspetto commerciale della fotografia, l’approfondimento della sua
dimensione tecnica, la valorizzazione degli autori, la necessità di farli
conoscere ai collezionisti.
L’ho fatta
un po’ lunga eh?
Direi proprio di no!
Entriamo ora nel merito della mia breve intervista:
Vorrei che
parlassimo della Fotografia Contemporanea, un termine ancora poco usato, un
magma in continua evoluzione, che ha completamente stravolto il concetto di
fotografia.
Come è sempre successo anche in altri campi come la musica, il teatro, la pittura, il cinema assistiamo a uno scontro fra Tradizione e Innovazione, il Conservatorismo e le Avanguardie. Quindi il primo problema è quello di definire i confini della Contemporaneità. Immagino che la tua domanda riguardasse gli anni più recenti caratterizzati dall’avvento dell’immagine digitale quindi partiamo da qui. Io penso che la rivoluzione della photographie numerique - il termine con cui i francesi la definiscono in modo impeccabile – non sia affatto una questione di tecnica ma di linguaggio. È come quando è stata inventata la pellicola a colori: senza che i contemporanei ne avessero piena consapevolezza si stava stravolgendo la convenzione ottocentesca che la realtà a colori potesse essere tranquillamente interpretata in bianconero. Oggi Il fatto di poter manipolare in mille modi un’immagine in postproduzione, la possibilità di estendere in modo impressionante la sensibilità Iso, la tendenziale scomparsa degli errori, la migliorata qualità degli smartphone oggi capaci di realizzare se in buone mani eccellenti immagini viene vissuta come trionfo della tecnica. Invece stiamo assistendo alla diffusione di nuovi strumenti ma noi ci dovremmo concentrare su una semplice domanda, cioè che cosa farne per i nostri progetti perché l’arte non produce contenuti ma elabora linguaggi nuovi legati ai diversi contesti culturali in cui si colloca. E qui vengo a una seconda considerazione: ho la netta sensazione che molti fra coloro che fanno ricerca non conoscano affatto chi l’ha realizzata e teorizzata prima di loro. Per queta ragione penso che se vogliamo parlare di Contemporaneità dovremmo estendere il concetto non dico fino alle Avanguardie Storiche ma almeno fino agli anni Sessanta dello scorso secolo. Proviamo a mettere insieme lo Studio di fonologia musicale della Rai diretto da Luciano Berio e Bruno Maderna, il Living Theatre di New York, il Noveau Roman e il Gruppo OuLiPo, les Cahiers du cinéma e ila produzione di Godard e di Antonioni, l’arte cinetica, “Le verifiche” di Ugo Mulas, le “Esposizioni in tempo reale” di Franco Vaccari, “Opera aperta” di Umberto Eco. Mescoliamo bene tutto e ci accorgiamo che la maggior parte dei contemporanei di oggi non riesce a stravolgere il concetto di fotografia ma al massimo si limita a graffiarne la superficie. Scommetto che l’elenco che ho fatto è, per molti, materiale ignoto. E non parlo solo di fotografi ma anche di molti che si autodefiniscono critici e che appena scovano un autore decente subito gli attribuiscono l’odioso titolo di artista.
Che problema c'è nella fotografia Italiana, se ce n'è uno. E che soluzione potrebbe esserci eventualmente?
Al contrario
di quanto da molti anni succede in paesi come Francia, Inghilterra, Germania (mi
limito volutamente all’Europa), il Italia la fotografia non gode della stima
che meriterebbe. Questo non riguarda tanto il pubblico - che i tanti operatori e
circoli fotografici stanno facendo crescere con i loro festival, le loro
gallerie, i loro libri - ma riguarda le istituzioni. La notevole qualità e quantità
di opere italiane meriterebbe la creazione almeno in ogni regione di un museo
inteso sia come centro di conservazione che di attività varie didattiche ed
espositive. Invece in Italia non ce n’è neppure uno degno di tal nome. L’unica
iniziativa istituzionale da segnalare riguarda la Regione Toscana che ha
acquisito tutto il materiale Alinari così salvandolo dalla dispersione. In
questo modo, e siamo al secondo punto, la fotografia italiana è sostanzialmente
sconosciuta all’estero e poco valorizzata in Italia stessa. Si salvano solo
alcuni autori – da Giacomelli a Fontana, da Ghirri a Basilico – ma slegati dal
movimento culturale al cui interno sono cresciuti. Non sono certo le pur
lodevoli iniziative di singoli operatori a poter risolvere la situazione ma
siccome mi chiedi se c’è una soluzione, la espongo. Il ministero della cultura
dovrebbe organizzare una importante mostra dei principali autori italiani dal
dopoguerra ad oggi affidando a un gruppo di critici la stesura dei testi di
approfondimento che spieghino poetiche, manifesti, dibattiti, nascita e morte
di gruppi e la scelta degli autori da esporre. Una sezione della mostra
dovrebbe raccontare la storia dell’industria fotografica italiana. La mostra
dovrebbe essere accompagnata da un libro realizzato in due versioni: una più
corposa rivolta a studiosi e appassionati, una più agile ed economica rivolta
al grande pubblico. Mostra e libro dovrebbero compiere un giro nelle principali
città europee ma andare anche oltreoceano. Le spese iniziali per la
realizzazione sarebbero facilmente ammortizzabili vendendo la mostra ai musei
stranieri e il volume ai visitatori: lo dico perché c’è sempre qualche fesso di
contabile che bacchetta ogni iniziativa culturale spiegando che non ci sono
soldi (anche se per gli stadi li si trovano…). Ma anche se questo non
accadesse, la ricaduta sulla valorizzazione del nostro patrimonio sarebbe
enorme. Se ti piace l’idea sappi che non sarà mai realizzata, stanne certa.
Vorrei parlare con lei di collezionismo fotografico italiano, quale è lo stato delle cose?
Anche qui
paghiamo un ritardo più che altro culturale. I grandi collezionisti spesso
colti e davvero appassionati sono pochi ma si sta sempre più diffondendo un’attenzione
nuova anche da parte di interlocutori più giovani. Pur sapendo bene che con la
stessa cifra con cui si compra un modesto quadro ci si può aggiudicare un’opera
fotografia di un grande autore, alcuni continuano a storcere il naso di fronte
al fatto che la fotografia sia un multiplo e non un’opera unica. È il limite
culturale di cui ti accennavo. Da tempo gli autori numerano e certificano le
loro opere ma per alcuni questo non basta. Esiste però un mercato comunque
significativo, anche se non paragonabile a quello di altri paesi, fatto di collezionisti
che scelgono le opere perché più si addicono ai loro gusti e non perché in quel
momento godono di una certa magari effimera fama. C’è, invece, chi crede che
comprare fotografie sia una forma di investimento. Sbagliato: non escludo che
si possa comprare a poco un autore da rivendere in breve tempo a una cifra più
alta ma è l’eccezione e anche rara, non la regola. La situazione sta
migliorando e speriamo, guardando in tv una fiction italiana, di vedere alle
pareti di una casa qualche bella fotografia invece di modesti dipinti di fiori
e paesaggi. Vorrebbe dire che la fotografia è sdoganata.
Questa è
una domanda anomala per una intervista ma visto il brutto periodo che stiamo
passando e la guerra che abbiamo alla porta le andrebbe di esprimere un desiderio?
Non vorrei rispondere come le Miss Italia di una volta a cui facevano dire che auspicavano la pace nel mondo anche se fra di loro c’erano donne intelligenti che si rifiutavano di fare l’Ochetta del Sistema. Quindi immaginiamo che la guerra sia finita (questa, ma le altre in paesi più lontani le abbiamo dimenticate?) e parliamo di cosa mi piacerebbe vedere attuato. Una delle porcherie di questi tempi è il liberismo di cui dovremmo …. liberarci perché gli stipendi bassi, il precariato, l’aumento delle distanze fra chi ha poco o nulla e chi possiede troppo sono conseguenze di questo sistema. Mi piacerebbe che ogni problema venisse affidato a persone competenti e che le loro indicazioni fossero tenute nel dovuto conto senza lasciare nessuno spazio a chi dice quel che sa ma non sa quel che dice. Mi piacerebbe che alla cultura di un paese come il nostro dove a scuola non si insegna né l’arte né la musica (!) venisse dato quel che merita perché se la destra dice che con la cultura “non si mangia”, la sinistra o quella che si definisce come tale senza esserlo finge di scandalizzarsi ma mica si comporta in modo diverso. Mi piacerebbe che le nuove generazioni facessero sentire la loro voce non tanto per dire “mai fidarsi di chi ha più di trent’anni” (lo slogan suonava bene ma era ingeneroso) ma per ribadire il ben più radicale “vogliamo l’impossibile”. Se ti sembro un sessantottino è perché nello spirito lo sono ancora e infatti il conservatorismo mi fa venire l’orticaria. Però non ho grandi speranze: in un paese dove i sondaggi danno come primo un partito neofascista che cosa ti vuoi aspettare?
Grazie Roberto per avermi e averci dedicato questo tempo: è stato come sempre un grande piacere.
Buon lavoro e buona lettura a tutti
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