Intelligenza Artificiale e Fotografia: Dialogo con Alessandro Curti
Nel panorama attuale della fotografia, l’intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando il modo in cui le immagini vengono create, elaborate e percepite. Per approfondire questo tema, abbiamo avuto il piacere di dialogare con Alessandro Curti, giornalista, curatore e docente di Storia della Fotografia allo IED di Milano, nonché autore di un recente saggio dedicato proprio all'intersezione tra IA e fotografia.
Curti ha condiviso il suo approccio curioso e analitico verso le innovazioni tecnologiche, sottolineando come la storia abbia già visto momenti di rivoluzione simili, dalla Rivoluzione Industriale alla diffusione del digitale. "Non considero l’evoluzione un pericolo, ma una trasformazione che va compresa e gestita con strumenti critici adeguati", ha spiegato.
Nel suo libro, scritto insieme ad Alessio Fusi e pubblicato da SEI per SEI, Curti esplora il cambiamento della fotografia contemporanea attraverso il dialogo con esperti del settore, tra cui fotoreporter, photo editor e figure chiave come Joan Fontcuberta. Con quest'ultimo ha discusso l’ambiguità dell’immagine fotografica e come la tecnologia non abbia modificato la natura ingannevole della fotografia, ma ne abbia solo raffinato le possibilità tecniche.
Oltre al libro, Curti è coinvolto in diverse iniziative legate alla fotografia, tra cui Still, spazio milanese dedicato all’immagine, e il Photo Grant di Deloitte, un premio internazionale per giovani fotografi e professionisti. "Crediamo nel valore delle idee", afferma, spiegando che il premio non si limita a riconoscere la qualità tecnica, ma punta a sostenere progetti innovativi.
Il panorama fotografico italiano, secondo Curti, è caratterizzato da un grande fermento creativo, ma necessita di un sistema più strutturato e di un maggiore riconoscimento istituzionale per poter competere con paesi come Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Tuttavia, l'entusiasmo e la contaminazione culturale delle nuove generazioni lasciano sperare in una crescita del settore.
Il dialogo con Curti ha offerto spunti preziosi su come affrontare il cambiamento senza timori, ma con la consapevolezza che la fotografia, pur evolvendosi, rimane un linguaggio potente e sempre in bilico tra realtà e interpretazione.
Questi i link per le schede dei libri:
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https://seipersei.com/products/intelligenza-artificiale-e-fotografia |
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https://seipersei.com/products/il-futuro-degli-archivi-fotografici-e-la-memoria-digitale |
Per conoscere Still fotografia Milano
A questo link finalmente la video intervista:
Testo intervista:
A: Va tutto bene. Ciao, grazie mille per l'invito! Sono contento di essere qui con te.
V: Io sono molto più contenta di te, perché l'argomento di cui parleremo è un argomento che mi interessa molto, è molto attuale, e tu ci hai scritto un libro. Quindi, insomma, iniziamo così: mi dirai tutto.
Allora, innanzitutto, però, per chi è proprio neofita o lontano dai nostri mondi, ma che magari è interessato all'intelligenza artificiale, fai una breve presentazione. Chi sei, di cosa ti occupi?
A: Allora, io ho cominciato a lavorare nel mondo della fotografia nel 2014, proveniendo da un percorso di formazione completamente diverso, perché ho una laurea in lettere e un master in Digital Marketing. Quindi, proprio arrivo da un universo che ci entra poco con la fotografia, ma ho un background familiare che mi ha aiutato poi a entrare professionalmente in questo panorama. Mio padre è Denis Curti, e quindi diciamo che sono cresciuto in un contesto sempre molto immerso nella fotografia.
Penso a tutte le volte che, da bambino, a cena a casa, c'erano grandi fotografi e grandi curatori, fino a crescere vedendo tutte le mostre, i festival, le iniziative che lui organizzava.
Insomma, nel 2014 lui ha aperto la galleria Still, di cui oggi io sono socio. Mi ha chiesto di dargli una mano nell’avviamento e ho passato i primi anni a fare un po' il "galoppino", no? Perché non è che sapevo fare tante cose. Ho imparato la professione un po' alla volta.
Adesso mi trovo a essere, dopo dieci anni, un giornalista, curatore, e insegno storia della fotografia allo IED di Milano. Mi occupo quindi di fotografia a 360 gradi, ma non faccio le foto, perché non sono minimamente in grado, le leggo, ecco.
V: Che è importante, però, come penso la tua laurea in lettere. Perché, insomma, il libro che ho avuto modo di leggere è veramente interessante, conciso e ben scritto. E poi, come dico sempre, oggi ai fotografi bisogna essere anche un po’ uomini di marketing. E credo che dieci anni nella fotografia non siano pochi, inoltre, sei figlio d’arte, quindi che dire? Complimenti!
Allora, cominciamo ad arrivare un po' al punto della nostra conversazione.
Allora, intelligenza artificiale. Alessandro Curti, cosa pensa dell'intelligenza artificiale? Poi, dopo parleremo del libro, però, cosa ti spaventa? Pensi che sia un pericolo per i fotografi e la fotografia? Ora, senza cadere poi nelle banalità di cui tutti parlano e che tu invece hai molto allontanato nel tuo libro, che ci dici di questa intelligenza artificiale?
A: Diciamo che, come tutte le novità che arrivano nell’esistenza umana, io ho una tendenza naturale a non accoglierle con paura, piuttosto con curiosità. Cioè, tutte le volte che accade qualcosa che non era ancora accaduto prima, una cosa che mi sconfinfera, cerco di capirci qualcosa in più.
Per quanto riguarda l'intelligenza artificiale, diciamo che è stato proprio il libro l’occasione per fare una riflessione seria e ponderata su cosa sta succedendo non solo nel mondo della fotografia, ma un po' in generale, nelle abitudini, nelle risorse umane quotidiane.
Avendo già a che fare con l'intelligenza artificiale da tanti anni, utilizzando le app all'interno della medicina o di tantissimi altri ambiti della vita, ecco, diciamo che ho semplicemente dovuto fare un po’ mente locale, fare un po’ di ordine nei miei pensieri e cercare quindi poi di metterli in fila.
A: Però io non considero l'evoluzione un pericolo, nel senso che credo che, alla fine, come ti ripeto, come tutte le cose, sta un pochino a noi sapere come accogliere il cambiamento e quindi dotarci degli strumenti, in questo caso critici, per gestirlo. Questo cambiamento. Quando c'è stata la Rivoluzione Industriale, c'erano i luddisti che spaccavano le macchine perché temevano che questo grande stravolgimento della società avrebbe distrutto il lavoro umano e sarebbe stato sostituito dalla macchina. Beh, la cosa non è successa. Sono passate diverse centinaia di anni, quindi ecco, io invito sempre a evitare reazioni isteriche e a non essere luddisti contemporanei. Bisogna provare piuttosto a comprendere che sta avvenendo un grosso cambiamento, di cui noi siamo testimoni. Quindi siamo anche fortunati a poterlo vivere in prima persona.
V: Esatto.
V: E senti, infatti, nel tuo libro tu hai incontrato dei nomi importanti della fotografia e hai dialogato con loro proprio riguardo alla fotografia. Ci racconti di questo libro? Poi, dopo, vorrei fare un focus su Joan Fontcuberta. Però, intanto, parliamo proprio del libro. Ho avuto la fortuna di essere a Milano per un convegno proprio sulle AI, dove hai presentato il tuo libro, e lì mi ha colpito molto la leggerezza. Mi ha colpito la precisione anche nell'affrontare alcuni temi che magari c'è tanto dibattito sull'intelligenza artificiale, ma non sulle cose che tu hai trattato, che sono, a mio avviso, molto interessanti. Allora, senza dire troppo, perché poi le persone devono prenderlo e leggerlo, quindi non spoileriamo troppo. Però raccontaci un po'. Innanzitutto, come è nato il progetto? Questi incontri con questi grandi personaggi, che credo già questo richiederebbe un approfondimento di un'ora, perché insomma, hai incontrato appunto il grande Fontcuberta, ma poi anche Smargiassi, dei fotografi importanti. Quindi a te la parola, raccontaci.
A: Sì, allora, intanto ringrazio il mio editore, Sei per Sei di Siena. Questo per me è la seconda occasione di collaborazione con loro. Io ho lanciato questa collana di saggi nel 2021 con un libro che era sugli archivi, intitolato Il futuro obiettivo fotografico e la memoria digitale. Torno a scrivere per la Sei per Sei con questo nuovo volume, che è uscito a inizio 2024, e ce l'ho qui.
A: È un saggio breve, quindi una serie di riflessioni che ho fatto insieme ad Alessio Fusi, che è il coautore di questo saggio, su dove sta andando la fotografia e soprattutto su dove sta andando il mondo delle immagini. Diciamo che il titolo può sembrare fuorviante: Intelligenza artificiale e fotografia, ma più che altro è veramente una riflessione filosofica sulla fotografia contemporanea. Perché, ovviamente, l'intelligenza artificiale, soprattutto negli ultimi tempi, parliamo di intelligenza artificiale generativa, è diventata parte integrante della nostra vita quotidiana. I software e le app che utilizzano l'intelligenza artificiale per creare immagini sono diventati di uso comune. Non servono più particolari tecniche per generare immagini, e quindi si è creato anche un dibattito nel mondo contemporaneo.
A: Bene, questo per me è stato proprio l'occasione di riflettere su tutta una serie di questioni che meritavano indubbiamente di essere affrontate già da prima. Perché le domande etiche, morali, filosofiche sulla fotografia e sull'immagine ce le si fa da sempre, ma ho messo un po' per terra dei pensieri. L'ho fatto nello stesso modo in cui ho fatto l'altro saggio sugli archivi, cioè andando a interpellare professionisti del mondo della fotografia, che sicuramente ne sanno più di me su alcuni temi e quindi mi possono dare la loro opinione, rispondere, o quantomeno tracciare dei percorsi su alcune domande che io avevo.
A: Ho affrontato diversi temi, a partire dalla questione legale. Perché, insomma, ci si domanda molto spesso: ma di chi sono queste immagini che vengono generate? Da dove vengono presi i pezzi che assemblano... detto male, ovviamente, i pezzi che assemblano le immagini generate? Ma quando si tratta di un'opera d'arte... queste sono tutte domande che ci stiamo ponendo un po' tutti. Ho coinvolto Cristina Manasse, che è un avvocato a Milano con un particolare interesse verso il copyright digitale, e quindi abbiamo un po' parlato di questo tema, sviscerando alcune questioni importanti, parlando di precedenti, basandoci su casi di studio.
A: Insomma, è molto importante fare chiarezza su questo, no? Soprattutto per chi utilizza la fotografia quotidianamente, o per chi utilizza l'intelligenza artificiale generativa come forma artistica. Sapere quando e se si incorre in violazioni del codice civile.
A: Poi ho dedicato tutta una parte a conversazioni con reporter, photo editor, giornalisti: Andrea Baioni, fotoreporter Alfredo Bosco, Michele Smargiassi, Luisa Bondoni, Filippo Venturi. Insomma, con ognuno di loro ho affrontato una determinata tematica: fotografia e intelligenza artificiale. Poi ho incontrato il grande Joan Fontcuberta, e casualmente anche lui stava scrivendo un libro sull'intelligenza artificiale, tema che lo affascina molto. Quindi il capitolo che ho realizzato in collaborazione con lui è certamente pregno di storie, ed è molto interessante.
V: Cosa ci racconti proprio del personaggio? A me piace sempre un po' andare a vedere anche l’uomo, l’essere umano che c'è dietro a questi grandi nomi, no?
A: Joan, io l'ho incontrato tante volte in tante occasioni, per mostre, quindi diciamo sempre in contesti pubblici, durante eventi. Sono sempre stato molto affascinato dal suo lavoro, dal suo essere sempre molto provocatorio e dal vivere su questo limite tra bugia e realtà raccontata. Perché lui fa sempre questi progetti molto ambigui che ci dimostrano tutte le volte che la fotografia è un linguaggio ambiguo e che noi non dobbiamo prendere per oro colato quello che vediamo e osserviamo. Joan, tra l'altro, è bello.
A: Ho incontrato Joan a Venezia, ci siamo visti perché stava aprendo una sua mostra lì. Quindi, ho raggiunto e ci siamo visti durante un pranzo in cui abbiamo scambiato idee e opinioni. Parla un po' di italiano, ma abbiamo fatto tutto in spagnolo, quindi ho dovuto anche tradurre i pensieri emersi in italiano, cercando di non snaturarli. Però insomma, è stata una cosa molto interessante. Rinnovo i ringraziamenti a Joan.
A: Tutto è partito un po' dalla prima volta che l'ho incontrato di persona a Bologna, durante Fotoindustria, questa biennale organizzata dal MAST, dove lui aveva allestito tutta una storia finta per il suo progetto Sputnik, dove si parlava della sparizione di un cosmonauta sovietico. Insomma, tutta una storia molto intricata. Durante la presentazione, però, lui ha allestito tutto facendo credere ai giornalisti presenti che la storia fosse vera. Poi, mano a mano che si approfondiva la vicenda, si capiva sempre di più che in realtà si trattava di una messa in scena. Era fatta talmente bene che, ancora oggi, sono convinto che molti dei presenti non l'abbiano ben capito e siano ancora convinti che quella storia sia davvero successa.
A: Quindi tutto è partito da lì. Gli ho chiesto: "Ma allora, cos'è che cambia esattamente in questo progetto Sputnik?" Lui l'ha cominciato nel 1990, quando di intelligenza artificiale generativa non se ne parlava ancora. E oggi, nel 2024, gli ho domandato come avrebbe fatto diversamente questo progetto. La sua risposta è stata tanto banale quanto illuminante: "Avrei solo alzato l'asticella tecnica della manomissione delle foto." Perché, ovviamente, sono passati 34 anni, e ci sono state delle evoluzioni tecniche che gli avrebbero permesso di farlo un po' meglio.
A: Ma concettualmente non l'avrei cambiato di una virgola, perché siamo comunque nel territorio dell'ambiguità e della rappresentazione visiva di qualcosa che non è mai successo, di una memoria costruita. Quindi, questo a riprova del fatto che sì, possiamo fare una distinzione tra fotografia e immagine generata da intelligenza artificiale, ma concettualmente siamo nello stesso territorio semantico. Siamo in una sorta di "post-fotografia", termine che è stato coniato nel 1988, quindi 35 anni fa. Quindi non stiamo vedendo un granché di nuovo sotto questo aspetto, no? Le immagini continuano a essere quello che sono sempre state, ovvero un grande magma in cui possiamo trovare verità, bugie, mezze verità.
A: Dove si trova veramente tutto, sta sempre a noi poi alla fine cercare di capire cosa c'è dentro e dietro queste immagini.
V: Esatto! Esatto! Esatto! Esatto!
V: Gli hai chiesto mica se la Mayer l'ha inventata lui?
A: Non posso dirvelo... no, no, scherzo!
A: Sì, perché lui, come personaggio, è grande e un grande provocatore. Ha fatto anche uno scherzo pubblico. Anche se io un po' gli credo che in realtà quel fenomeno l'abbia inventato. E comunque è stato geniale a far venire il dubbio e a far riflettere proprio su quello che tu dici, no? Che poi, alla fine, la fotografia è forse una grande menzogna, forse una grande interpretazione dell'uomo che scatta e racconta. Quindi c'è questo...
V: Senti, adesso ti faccio fare un salto da un’altra parte. Parliamo di Still, il premio per i giovani che avete creato. Io mi occupo di arte contemporanea prevalentemente, poi ovviamente nasco come fotografa, e sono stata molto felice di vedere un premio di quella grandezza internazionale dedicato ai giovani. È una grande operazione che dà anche lustro a tutta la fotografia italiana, no? Che ci racconti di Still e di questo premio?
A: Lo spazio in via Zamenhof 11 a Milano, che abbiamo aperto nel 2014, è un hub completamente dedicato al mondo delle immagini. Da allora proponiamo mostre di fotografia, presentazioni di libri, conferenze, progetti, e via dicendo. Abbiamo una programmazione da galleria, ma allo stesso tempo ospitiamo tanti eventi collaterali. Abbiamo una libreria con volumi antichi, o comunque da collezione, prima edizioni firmate, e via dicendo. È un luogo dove avvengono progetti, dove vengono pensati e ideati, e poi realizzati. Tra questi è nata la possibilità di creare il Photo Grant di Deloitte, sponsorizzato e promosso da Deloitte Italia e dalla fondazione Deloitte.
A: Con questo premio abbiamo avuto modo di incontrarci più volte in diversi eventi, e abbiamo capito che in Italia non c'era un premio dedicato alla fotografia con una borsa di studio particolarmente elevata e con la possibilità di produrre una mostra e un libro. Quindi, abbiamo cominciato a progettare e scrivere il premio, e poi l'abbiamo lanciato.
A: Il premio si divide in due parti. Una è dedicata ai fotografi professionisti, che vengono segnalati da tutta una serie di personaggi che ruotano nel mondo della fotografia. Un po' come le candidature agli Oscar, per intenderci. Quindi noi chiediamo a grandi curatori o foto-editor di segnalarci due progetti ciascuno, inediti, che loro, a loro discrezione, vanno a pescare in giro per il mondo. Ci sono venti finalisti, e poi uno solo vince una borsa di studio di 40.000 euro, più una mostra al Mudec di Milano e un libro. L'anno scorso ha vinto Newsha Tavakolian, una fotografa iraniana di Magnum, bravissima.
A: Parallelamente, lanciamo invece una Open Call per Under 35, quindi per giovani, con una borsa di 20.000 euro, dove non viene premiato il progetto più bello o la foto più bella, ma viene premiata l'idea, perché crediamo nel fatto che le idee siano l'oggetto su cui investire. Raccogliamo idee di progetti, e quella che ci piace di più la premiamo con questo contributo in denaro. Chi vince ha un anno di tempo per realizzare il suo lavoro, che verrà esposto nell'edizione successiva del premio.
A: Nel 2023 ha vinto una fotografa brasiliana, Fernanda Aliberti, e il suo lavoro sarà esposto al Mudec a partire da novembre 2024. Aspettiamo con trepidazione che concluda il suo progetto e poi saremo contenti di esporlo.
V: Senti, i termini sono ancora aperti per i giovani che ci stanno sentendo? I termini per presentare il lavoro degli Under 35?
A: C'è tempo fino al 30 giugno.
V: Ok, perfetto! Quindi c'è ancora un mese. Fantastico!
V: No, è un'iniziativa molto molto bella che secondo me dà veramente tanta importanza alla nostra fotografia, perché mi chiedo spesso, e chiedo alle persone che ospito, che sono appunto come te, poi a maggior ragione curatori: com'è lo stato dell'arte della fotografia italiana? C'è qualcosa da segnalare? C'è qualche osservazione particolare?
A: Ma io credo che ci sia sicuramente un grande fervore creativo. Io lavoro anche tanto, tra l'altro, con i giovani, avendo queste classi; ho quattro classi allo IED, avrò 300 studenti, e con loro faccio anche proprio un esame di storia della fotografia, per cui mi devono presentare un progetto. Dico questo perché da lì molto spesso capita che io vada a pescare dei lavori che poi sono così interessanti che voglio portarli al di fuori dell'università. Ma per dire, l'anno scorso una mia studentessa, che studia styling, quindi non è molto legata alla fotografia, mi ha fatto un progetto così bello d'esame che le ho detto: "Te lo portiamo fuori, rivediamolo insieme, candidiamolo al premio di Deloitte." Io ovviamente non faccio parte della giuria, quindi non c’è conflitto di interessi, e alla fine è arrivata terza su 100 candidati, una persona che ha un background culturale e artistico importante, ma che non è il fotografo di professione. Questo è un grande risultato! Quindi insomma, vedo molte potenzialità. Sicuramente la fotografia in Italia non è vissuta e sostenuta agli stessi livelli dei paesi che ci stanno vicini, come la Germania, il Regno Unito, e se vogliamo andare più lontano, gli Stati Uniti. Non c'è lo stesso mercato, non c'è lo stesso pubblico, e non c'è la stessa cura e dignità che viene data in altre parti del mondo. Da parte mia, senza alcuna presunzione, cerco di fare la mia parte, raccontando e mettendomi in gioco. Però ovviamente, bisognerebbe creare un sistema più virtuoso, a partire dalle istituzioni, ma anche dagli addetti ai lavori, che spesso…
V: Sono d'accordo, Alessandro.
A: ...si concentrano più nel fare polemiche e creare attriti, cose che non sono belle da vedere.
V: Spero che questo appartenga alle vecchie generazioni. Mi auguro davvero che le nuove generazioni, che spesso viaggiano tanto, vanno all'estero, hanno modo di contaminarsi e incontrare realtà fotografiche più... diciamo "easy". Non è tanto il discorso della qualità fotografica, però come dicevi tu, all'estero è molto più facile. Io sto spesso all'estero, e là è molto più facile. C’è un altro tipo di rapporto. Quindi mi auguro che tu e tutti i giovani curatori possiate veramente, lentamente, cambiare. Ma credo che questo già stia accadendo. C'è anche un altro modo di studiare la fotografia oggi, rispetto a 30 anni fa. Quindi ce lo auguriamo e credo che queste cose che state facendo siano passi importanti. Ho visto che tuo padre è stato anche in Portogallo, giusto? Ha preso dei contatti con i musei e le istituzioni fotografiche. Quindi credo che voi siate proprio un punto fondamentale per il futuro della fotografia.
A: Sì, sicuramente.
V: Ultime due cose, Alessandro, e poi ci salutiamo. La prima è che vorrei che ci raccontassi un po' del discorso degli archivi fotografici. Hai fatto un lavoro con la stessa casa editrice e l'ho preso, lo sto leggendo un po’ più con calma perché non ho molto tempo in questo periodo, ma un lavoro interessantissimo che credo sia importante per molti, perché è parte della nostra storia italiana della fotografia. Giusto?
A: Sì, il futuro degli archivi fotografici, la memoria digitale... È stato anche carino raccontare, secondo me, come è nato proprio il libro. Il mio editore voleva lanciare questa collana di saggi; loro di solito fanno altri tipi di libri, fotografici, ma questi sono tutti scritti, senza fotografie. Mi ha detto: "Parla di quello che vuoi". Ma di cosa parlo? Non sapevo nemmeno cosa scrivere. Poi ho cominciato a fare un po' di brainstorming, a farmi delle domande. Ho pensato: "Caspita, stiamo vivendo un periodo storico in cui abbiamo tantissimi archivi fisici, cartacei, non ancora sistematizzati e digitalizzati, ma allo stesso tempo nascono archivi digitali che muoiono anche digitali, che non vedono nemmeno mai una loro traduzione fisica. Come gestiamo tutto questo?" E così ho trovato il tema di cui scrivere.
Sono partito da una mia esperienza personale. Anni fa ho lavorato a Torino per sistemare l'archivio di un fotografo, Riccardo Moncalvo. Suo figlio, Enrico, ha deciso di metterci mano e ha coinvolto noi per fare tutto il lavoro di sistematizzazione, ma letteralmente ci siamo trovati in una cantina di una casa, con scatoloni da tirare fuori, negativi, diapositive... Quindi, dopo aver messo mano a questo archivio fisico, sono arrivato a trattare i temi degli archivi digitali. Ho intervistato varie persone che lavorano in questo campo, chiedendo loro come si regolano, come gestiscono la digitalizzazione, cosa fanno con il problema dell'obsolescenza.
Io sono un figlio degli anni '90, e quando sono nato non c'erano nemmeno gli smartphone. Usavamo ancora i floppy disk, i CD-ROM, i lettori MP3. Parlarne oggi, nel 2024, sembra davvero archeologia digitale, eppure sono passati solo pochi anni. Immaginate i fotografi che magari hanno versato tutto il loro lavoro su un CD-ROM e ora devono cambiare supporto perché i nuovi computer non hanno più il lettore. C'è questo problema con l'obsolescenza tecnologica. Tutti i nostri dispositivi invecchiano velocemente, e a tutti noi è capitato almeno una volta di non riuscire ad aprire un vecchio file o di perdere delle cose.
Ecco, non voglio fare il profeta della fine del mondo, ma Serena Berno dell'archivio Intesa Sanpaolo mi ha detto: "Rischiamo tra 50 anni di non avere più la memoria visiva del presente che stiamo vivendo, perché facciamo troppo affidamento sui nostri telefonini e computer. Ma questi dispositivi, con gli anni, rischiano di perdere dati a causa delle estensioni e dell'obsolescenza." Quindi, abbiamo cercato di trovare risposte a metodi di archiviazione più virtuosi. E posso dire che esistono!
V: Ottimo saperlo.
A: È un vicolo cieco... Infine, nell'ultima parte del libro, l'ho dedicata agli artisti, perché ce ne sono tanti che lavorano con le immagini d'archivio, come Giuseppe Iannello, Alan Maglio, Luca Santese, Francesco Vezzoli, che fece un bellissimo lavoro sull'archivio della Mai. Ho cercato di farmi raccontare come un archivio possa diventare un prodotto artistico, un progetto creativo. Sono venute fuori delle belle sorprese. Il libro è stato appena ripubblicato con la sua seconda edizione. Certo, dopo tre anni ci sarebbero tante cose da aggiungere e integrare, ma continua a essere una riflessione. Lo dico io, ma le riflessioni degli altri che mi hanno aiutato sono certamente un valore aggiunto.
V: Alessandro, io sono dell'opinione che se vogliamo cambiare veramente certi aspetti della fotografia italiana, dobbiamo affrontare anche tematiche che vadano un po' più in profondità, che ci facciano riflettere sulla memoria e su tutto il resto. Su questo possibile blackout che potrebbe arrivare domani e cancellare, di colpo, 20 anni di immagini. È tutto molto interessante. Ti ringrazio innanzitutto per questo tempo che è stato veramente stimolante. Spero che in futuro approfondiremo anche questo aspetto, magari tra qualche anno, vediamo un po' cosa è successo. Però chiudo tutte queste mie interviste chiedendo sempre a tutti voi del mondo della fotografia di esprimere un desiderio, che può sembrare folle, ma che spesso porta a qualcosa di estremamente interessante. Quindi, a te, prima di salutarci, esprimi il tuo desiderio.
A: Ne avrei tanti, personali e non, ma diciamo che se devo esprimere un desiderio legato al mondo della fotografia, è un po' quello che dicevamo prima: che questo linguaggio venga veramente trattato alla stregua dell'arte classica, moderna e contemporanea. E quindi, un domani, potremmo vedere grandi cose anche in Italia per quanto riguarda la fotografia. Questo è un po' quello che mi auguro e desidero.
V: Perfetto, credo anche grazie ai libri. Quindi continua a scrivere e a produrre cultura, facciamola circolare. Alessandro, ti ringrazio tanto. So che tu adesso vai un po’ in giro per il mondo, quindi ci vediamo sui social e quando pubblico questo video. Per ora, grazie e alla prossima!
A: Ciao, grazie mille! A presto!
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