LORENZO CICCONI MASSI: VIDEO INTERVISTA ALL'AUTORE "MONELLO" DELLA FOTOGRAFIA ITALIANA. PRODUCE CON I TEMPI DI BRIAN ENO CAPOLAVORI PER LA NOSTRA VISTA.


LORENZO CICCONI MASSI

L'intervista del 30 Maggio a Lorenzo Cicconi Massi In queste interviste video o scritte, chiacchiero sulla fotografia con tutte le persone importanti del il mio percorso fotografico ed artistico o delle quali amo profondamente il lavoro, nel caso di Lorenzo, quando l'ho incontrato al Festival di Corigliano Calabro nel 2021 sono rimasta impressionata dalla sua ricerca. Amo i ricercatori che fanno della fotografia un proprio autoriale linguaggio.
BUONA VISIONE!





Per i paravedenti e non udenti si riportano i testi e le foto qui sotto,

Il testo viene sbobinato da un programma che utilizza intelligenza artificiale e poi viene verificato, si chiede scusa anticipatamente per alcuni refusi.

Testo ripreso dall'intervista, si è cercato di rimanere il più fedele ai testi del parlato: 

Ciao Lorenzo. Benvenuto, buongiorno. Grazie di aver accettato il mio invito. Voglio chiacchierare un po con te, come faccio con tutti di fotografia, fotografia contemporanea. Come ti ho più volte detto adoro la tua ricerca che trovo originale e molto contemporanea. Ti ho conosciuto di persona al Corigliano Calabro Festival e mi piacerebbe che tu raccontassi ai miei amici appassionati di fotografia il tuo lavoro la tua ricerca...

Ok, allora Vanessa intanto grazie di avermi invitato. Mi fa molto piacere fare questa chiacchierata con te e raggiungere quindi, diciamo virtualmente le persone che ti seguono.

Come fotografo, sono, credo abbastanza atipico, ma ognuno di noi ha una storia  personale, diversa da tutti gli altri. Io credo di essere abbastanza atipico, insomma, confrontandomi anche con i miei colleghi, perché  non ho fatto un percorso, diciamo così, abbastanza tradizionale, che passa attraverso le scuole, la formazione. Ha ho seguito in modo assolutamente istintivo e direi travolgente la mia passione prima per il cinema e che poi si è trasformata nel corso del tempo in passione per la fotografia. Anche perché abito a Senigallia, vengo da Senigallia, tuttora ci vivo, ahimè, per certe cose, per fortuna per altre. Ma questa è una relazione di odio amore che si verifica con tutto ciò che ci sta particolarmente vicino, che a volte è anche la fotografia stessa o il cinema stesso. Insomma, i grandi amori della propria vita. E sto qua. Insomma, la mia formazione è completamente da autodidatta e voglio dire vicino a quella stella brillante e meravigliosa che è Mario Giacomelli, che ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere personalmente. Magari ne parleremo anche anche dopo. E e io ho cominciato così un po da solo, un po per caso, però, spinto indubbiamente da un forte desiderio. Nemmeno volontà, da un forte desiderio di raccontare, di provare, soprattutto di provare ad esprimere quello che avevo dentro. Ma l'inizio, l'approccio con la fotografia, anche quello, è stato totalmente istintivo. Cioè io sono andato a fare prima un po di fotografie, di paesaggi, di cose, delle colline marchigiane sulle quali un pochino mi sono così formato o diciamo aggiustato un po il mio parametro di inquadratura, di sguardo sul mondo, ma non producendo nulla di assolutamente buono. Poi, finalmente, un giorno ho avuto un così come una sorta di visione. Ho visto questa scena di bambini che giocavano, ho deciso di trasformarla in bianco e nero. Ho fatto questi scatti, li ho stampati di questi scatti del mio primo rullino, in pratica in bianco e nero ancora ci sono degli scatti che secondo me sono fondamentali, basilari e con i quali poi ho vinto il Canon. 




LE STRADE PER GIOCARE

Ho avuto un ottimo riconoscimento a darle quando sono andato a farmi leggere il portfolio e da lì è partito un po tutto. Ma la cosa strana è che io queste prime fotografie le ho fatte nel 1990, 89-90, e la lettura del portfolio ad Arles. e il primo posto al premio Canon Giovani fotografi sono avvenuti nove anni dopo. Io per nove anni o mi sono dedicato ad altre cose, a cortometraggi, ad altri, anche a dei momenti vuoti persi, brancolano nel buio. Questo perché non avevo assolutamente consapevolezza, non solo di quello che avevo fatto, che poteva essere buono, ma insomma non sapevo cosa era un portfolio fotografico. Non conoscevo agenzie fotografiche. Io lo dico sempre quando mi ha chiamato Renata Ferri di Contrasto. Io non sapevo né chi fosse Contrasto, né chi fosse Renata Ferri. Questo per farti capire. E vabbè, insomma. Poi dopo le cose sono partita entrando in Contrasto. Sono andata avanti, insomma, anche facendo a volte errori clamorosi o producendo lavori che non mi assomigliavano per niente e che sono stati totalmente fallimentari. Il primo lavoro che ho fatto da professionista Contrasto per Bell'Italia, un lavoro a colori sulla città di Orvieto è stato un disastro ecologico.

Sai che la Leibovitz ha avuto questa esperienza per Rolling Stone? Anche lei è stata un autodidatta e in un certo momenti davanti a un grande editore si è sentita dire “Guarda questo lavoro è terrificante.” E lei ha dovuto di farlo. Lo racconta sempre. Spesso il fotografo autore è autodidatta, non contaminato da scuole o da maestri, questo non significa che le scuole non servano.

Sì, è vero, credo che diciamo che a volte il più bel complimento che mi fanno è proprio il fatto che mi dicono di essere molto riconoscibile, quindi la mia fotografia è molto riconoscibile. Molta gente mi ha sempre detto “Sono andato a vedere una mostra collettiva dove c'erano le tue foto immediatamente ti ho visto.” Non so se questo è positivo. Potrebbe essere anche un limite. Forse quella famosa frase che dice che un fotografo, o comunque un artista, in tutta la vita fa sempre la stessa fotografia, insomma, di fondo cerca sempre quella fotografia perché è talmente legato e ossessionato, forse da quella visione o comunque da delle piccole variazioni di quella visione, che alla fine poi ti ripeti quasi all'infinito. Quindi questo non so se in realtà sia positivo.

Io credo sia positivo, cioè le tue foto come quelle di Giacomelli o di altri autori di cui poi parliamo, sono veramente riconoscibili, però hanno il tuo taglio, il tuo stile. Questo richiama Giacomelli, ma non è sicuramente lui. E poi conoscendoti dici:”Vabhe è Lorenzo”. Ecco, questo è molto forte. Poi Lorenzo, mi dovrai mandare delle foto: anche di quelle della serie dei ragazzini, di cui ci hai parlato.

Vedi quella fotografia? Vedi la dietro la nel manifesto che ho in questo piccolo studio. Quella fotografia fa parte proprio del primo rullo, del numero uno di questa serie di fotografie e insieme a quella ce ne sono altre 2 o 3, come spiegavano a Corigliano. Li è come se improvvisamente mi si fosse aperto proprio il vaso di Pandora. Io avessi capito dopo un paio di anni di fotografie. Sì, perché erano passati un paio d'anni da quando avevo iniziato a fotografare, proprio con un po’ di fotografie, di paesaggi molto, così molto, abbastanza banali, solo alla ricerca del fatto estetico del bello. Un po’ un po’ no... Non che Franco Fontana sia solo bello così, ma era un po’ sul suo stile. Siccome i paesaggi si assomigliano un po’, andavo un po’ dietro a queste visioni italiane, capito? Con gli intrecci dei vari piani di colore. Così però, insomma, non era una cosa mia. Era quasi una sorta di esercizio, fino ad arrivare al punto in cui ho capito che volevo intanto eminentemente raccontare in bianco e nero.


MARTA


UN ALTRO MONDO

Ok fantastico. So che stai lavorando a questo progetto invece legato al mondo rurale. Adesso ci vuoi raccontare qualcosa?

Allora sì. E dunque io sono molto legato alla campagna delle Marche e ho vissuto tutta la vita anche io in campagna, benché nei pressi della città. E i miei vicini di casa proprio hanno una casa in aderenza, oggi divisa da un muro. Ma prima era tutto aperto e sono dei contadini, degli ortolani, in pratica, e quindi io la mia infanzia l'ho vissuta giocando nei Pagliari, in una, in situazioni che oggi assolutamente non esistono più. È chiaro che questo imprinting che mi è entrato proprio durante l'infanzia mi ha così… si è depositato dentro di me e ogni tanto ha voglia di uscire, anzi proprio necessità di uscire. Avevo già iniziato sempre per i miei tempi lunghi, sempre per non avere mai una, come dire, una chiara consapevolezza di quello che voglio fare, di quello che voglio raccontare. Non riesco a programmare, vado veramente molto ad istinto. E forse è l'unico modo in cui le cose, come dicevi anche te prima, possono nascere proprio così, spontaneamente, non seguendo dei dettami scolastici, in pratica. Quindi nel 2010 ho cominciato facendo delle fotografie durante l'uccisione del maiale ecc. E da quest'anno ho deciso da quest'inverno di riprendere il lavoro che provvisoriamente al titolo degli ultimi contadini. E questa volta, con un po’ di consapevolezza, un po’ di maturità, un po’ di sale in zucca. Ho detto no, bisogna che adesso lo porto avanti con serietà. E mi ci butto dentro. E devo dire che poi quando entri dentro, naturalmente la cosa, se incomincia a funzionare ti prende tanto. E insomma non vedi l'ora di svegliarti il giorno dopo la mattina per ripartire con la macchina, andare in cerca di questi contadini che sono chiaramente persone molto diffidenti, molto anziane, quindi spesso così ti prendono a fucilate (ridiamo) quando entri nella loro proprietà e comunque sono molto diffidenti. Quindi sto cercando di costruire tutta una rete di contatti nei vari paesi che circondano qui Senigallia per potermi presentare perché non è praticamente quasi possibile andare a fotografare delle persone, soprattutto anziane, dicendo “Sapete, io sono un fotografo.” Poi gli puoi dire anche che sei il presidente della Repubblica, ti mandano a quel paese, il che non gli interessa, non gli interessa niente. Però è un lavoro che raccoglie tanti temi, tante tematiche a me care che sono intanto, per esempio, quel fatto delle generazioni, dell'età, della vita. Io ho cominciato coi bambini, ho proseguito col lavoro sugli adolescenti della tribù Euro Generation e quindi mi sembra che questo lavoro sulla vecchiaia sia, come dire, anche un non dico una conclusione, ma comunque un approdo assolutamente necessario. Poi c'è il lavoro sulla campagna, c'è il lavoro, sulle cose che io ricordo, che fanno parte del mio immaginario infantile, gli elementi della campagna. E poi c'è il lavoro, dove forse si ricollega un po’ anche i miei studi di sociologia, che ho sempre così abbandonato. Mi sono sempre fregato. Ma forse qualcosa un tarlo mi rimane dentro anche di capire, di quasi, di studiare o di bloccare queste persone che vanno scomparendo, cioè noi. Noi veniamo tutti, da una cultura contadina. È importante, diciamo, non dico ritrovare le nostre radici perché può suonare un po’ così banale, un po’ retorico. Però quantomeno andare a rappresentare, a bloccare nel tempo, come la fotografia sa fare, un’ultima generazione di persone che hanno mantenuto una vita molto simile a quella che hanno fatto sempre, cioè senza troppe contaminazioni, non solo di tipo tecnologico. Perché oggi anche il contadino di 80 anni al telefonino, perché ormai è un mezzo necessario. Però il suo stile di vita è rimasto sempre uguale. Cioè lui abita in campagna a bada le galline, va nel campo, è uno stile di vita semplice, uno stile di vita esattamente com'era quello di quarant'anni fa. Ecco, e sono gli ultimi. Perché i ragazzi e i ragazzi più giovani, quarantenni che mettono sull'impresa agricola non non fanno più la vita dei contadini.



PAESAGGI DELLE MARCHE

E poi sono differenti i valori, anche i valori di quella generazione rispetto a quelli che abbiamo noi oggi, o i nostri figli o i nostri nipoti.

Assolutamente sì, sì, ma poi c'è un legame proprio simbiotico con quella campagna, con gli animali, con le galline. Non so, è tragico, da un certo punto di vista vedere la morte di un animale, ma vedere la naturalezza del gesto con cui loro lo fanno. E questo rapporto di amore, la gallina allevata da loro e non allevata in un pollaio con 100.000 galline di cui quasi la conoscono per nome, quasi le danno un nome e poi sanno che alla fine la dovranno uccidere e la uccidono anche sotto i miei occhi. La signora col coltello l'ha proprio sgozzata, cioè io. Chiaramente lì per lì rimango un po’ così, però. È paradossale, quasi un ossimoro. Ma c'è affetto anche in questo gesto?

Assolutamente. Anch'io ho origini contadine. Mi ricordo mia nonna era piccola per dire uccideva conigli, galline, eccetera. Oggi c'è meno consapevolezza. Loro, in realtà in quel modo hanno un legame molto profondo con la vita e la morte.

Assolutamente.

I ragazzini oggi vanno a McDonald's a mangiarsi l'hamburger, non hanno idea degli animali che sono stati uccisi. E poi credo proprio sia anche una testimonianza importante, perché non credo molti la raccontino (l’Italia contadina che sta scomparendo). Noi siamo tutti un po’ esterofili. Oppure andiamo sempre a cercare cose tanto lontane da noi. In realtà l'Italia è un paese contadino, viene, cioè siamo un paese dove non abbiamo grandi industrie.

Assolutamente sì. E’ una tappa imprescindibile del mio percorso, quello anche di andare e naturalmente di andare all'indietro e per poi cercare di fare sempre un passo in avanti.

Sono molto curiosa riguardo a questo lavoro, poi magari ci risentiremo anche quando esce il lavoro per vedere gli sviluppi. Che tempi avrà?

Sarà ancora lungo. Adesso in realtà farò una sorta di mostra a Sassoferrato, una tappa di Portfolio Italia della Fiat. E mi hanno invitato come così come ospite d'onore.

Quando?

Questo a fine giugno, il 24 giugno 25 giugno 2022 uno spot a  Sassoferrato. Però poi in realtà dopo questa mostra tornerò a nascondermi. Continuerò il lavoro e quando sarà pronto sarà pronto. Onestamente non saprei dire quando.

Ottimo. Come ti spiegavo, io mi occupo anche di arte contemporanea e l'artista fa così. Non ha tempi certi. Se no sei un produttore seriale, un industriale della fotografia. No, l'artista ha bisogno di tempi di ricerca molto lunghi e lo dico sempre, anche ai ragazzi ai quali insegnano. Cioè occorre progettare a lungo, riflettere sull'iper produzione di oggi, dove continuamente produciamo immagini che mettiamo on line.

Senti Lorenzo, invece torniamo un attimo al parallelo del tuo lavoro con Giacomelli e con Efrem Raimondi. Amo Giacomelli e  ero  e sono un fan, si: mi dichiaro fan di Efrem Raimondi. L'ho amato profondamente per la sua fotografia Punk! E io vedo tante somiglianze anche con il tuo lavoro, non tanto diciamo di stile o di contenuto, quanto proprio per la rottura degli stilemi visivi e per la ricerca personale, per l’uso di un linguaggio proprio. Quindi, come ti ho scritto nelle domande di ti avevo anticipato, ma queste questi paralleli ti danno fastidio? Ti stanno stretti in qualche modo, ti limitano? Che ne pensi?

No, no. Nessun parallelo mi sta stretto, nessun paragone mi sta stretto, niente mi infastidisce. Credo che il lavoro diciamo così, di creazione, se non vogliamo chiamarla artistica, o il lavoro di profonda contaminazione per cui nella mia fotografia entra tutto il cinema che mi è piaciuto. Ci sono, come dicevo, anche a Corigliano. Forse ti ricorderai alcune inquadrature che spiegavo erano proprio così, quasi copiate da Sergio Leone, da alcune inquadrature di West End di Sergio Leone, dove lì c'era il Pistolero, l'eroe, qua c'era magari il bambino, ma questo poi ritornerà anche nel lavoro sui contadini, che diventano figure quasi quasi dei guerrieri, con in mano il loro, magari i loro attrezzi, i loro strumenti di lavoro. La fotografia di Giacomelli come non citarla? Giacomelli l'ho conosciuto e Giacomelli entra sottopelle a ogni persona che ami l'arte e ami la fotografia. A Senigallia di Giacomelli ne siamo, ne abbiamo avuti, abbiamo gli occhi proprio riempiti, il cuore riempito. Perché quadri di Giacomelli, visioni di Giacomelli ci sono dentro la macelleria dove vai a prendere la fettina, dentro il bar, dove vai a prendere il cappuccino perché poi lui regalava, dava, donava. Mi con grande generosità un po’ così come tra virgolette fa il pazzo, il matto del Paese. Capito? Era questo anche questo rapporto assolutamente paritario che Giacomelli aveva con tutti, dal barista, all'amico, al tabaccaio, a tutti quanti dove andare a comprare i suoi sigari? Se mi parli di Efrem che io ho conosciuto, ho questo ricordo bellissimo. Quando sono stato chiamato per la prima volta a Milano per essere fotografato dal mensile Arte. Per i nuovi fotografi su cui puntare nel futuro. Avevano indicato anche me e io sono partito con il mio trenino da Milano, inconsapevole di tutto. Vent'anni e rotti fa e sono entrato dentro questo studio dove Efrem aveva l'assistente, eccetera. Ma non ho trovato la presunzione del grande fotografo, ho trovato subito la, come dire di quello che si sente un grande fotografo. Ho trovato la testa, la vivacità di pensiero. Immediatamente io lo guardavo con grande ammirazione. Ma proprio stavo lì, in un angolino che vedevo tutto, che faceva le polaroid di prova. E ancora ciò, naturalmente, quel giornale e come ricordo di Efrem. Poi l'ho rincontrato ad Ancona, qui nelle Marche e abbiamo fatto una chiacchierata. E naturalmente quello che è sorprendente, oltre alla sua fotografia così varia, così così a volte spiazzante, così a volte diversa rispetto a quella precedente che aveva fatto. È la sua vivacità di pensiero, questa sua polemica, che non è la polemica fine a sé stessa, che a volte alcuni maestri contemporanei del pensiero, tra virgolette dico maestri, cercano a tutti i costi, cioè lo scandalo, la rottura rispetto alle cose? Efrem lo faceva con tanto sale in zucca, con tanto cervello, con tanta cognizione di causa. E questa, come dire, essere polemici, non fine a sé stesso, ma essere polemici per rompere gli schemi, certi schematismi, certi modi di pensare troppo ormai in cielo franati. E invece andare oltre. Ecco. Io non ce l'ho quella vivacità di pensiero così, o quanto meno io. Insomma, non riesco ad esprimerla. 




LE DONNE VOLANTI

Sì teneva anche questo blog fantastico, dove in realtà credo ci fosse anche una finalità di diffusione culturale. Studiatela la fotografia punto. La polemica non era sterile o narcisistica. Guardate la fotografia è un'altra cosa. Potete rompere gli schemi. Potete?

Esatto. Io lo trovo veramente di una onestà intellettuale, di una anche di un rigore morale assoluto. E sonl proprio contento, fra due giorni di inaugurare una mostra con lui. Questa piccola mostra è una piccola mostra, per carità, almeno da parte mia, poi quello che porterà la moglie di Efrem. Bene, non ho capito, però sono una serie di ritratti, insomma. Però sono molto contento, perché naturalmente, come dire, è assolutamente un onore essere affiancato al suo nome. Quindi bene così. Spero che vengano un po’ di persone.

Questa mostra di Efrem è a Palazzo Bisaccioni di Jesi, nel centro storico di Jesi, inaugurerà il due pomeriggio alle 17.

Ok invece l'altro appuntamento della sua mostra? Appuntamento e al Face Foto News di Sassoferrato, sempre nelle Marche, 24 25 giugno. Anche lì inaugurerà la mostra su questi ultimi contadini diciamo la prima parte di questa mostra, di questo lavoro.



EUROGENERATION

Ho ancora due domande, poi ti lascio andare. Allora uno è una domanda che faccio un po’ a tutti.

C’è un problema nella fotografia italiana?

E se invece c’è un'eventuale tua riflessione su una risoluzione

Allora io credo di non avere come dire, insomma, di non essere. Non sono nessuno per dire qual è il problema della fotografia italiana, perché a volte io non riesco a vedere i problemi grandi che ho che ho anche nella mia vita, nella mia professione. Quindi vorrei non addentrarmi in voli pindarici sulle problematiche della fotografia e lo lascio fare a chi ha più cognizione di me. L'unica cosa che mi viene da dire è che, insomma, noi siamo un pochino in ritardo rispetto a molti Paesi europei o agli Stati Uniti, forse per la nostra grande tradizione d'arte, per tutte le opere d'arte che abbiamo, per cui forse la fotografia è arrivata appunto così a prendere un ruolo importante più tardi rispetto ad altri posti. Mi sembra che la fotografia abbia il problema degli italiani, cioè dei problemi tipici degli italiani, cioè l'amicizia a volte e il passare avanti per strade. Come dire, poco meno ortodossi, un po’ meno serie, un po’ più da aperitivo e meno da valore intrinseco del lavoro. Credo che questo va bene, funziona sempre un po’ nel mondo dell'arte. In Italia secondo me funziona un po’ troppo.

Un po’ troppo così, un po’ troppo, non voglio dire con la raccomandazione, però non lo so. Insomma, mi piacerebbe che ci fosse un pochino più di rigore da questo punto di vista. Viviamo chiaramente un mondo dove è molto complicato dare un giudizio sul valore oggettivo di una cosa, anche perché oggi ha un valore, domani ne ha un altro. Fra 100 anni avrà magari un lavoro, avrà un valore immenso oppure non avrà nessun valore. Quindi anche lì è molto difficile. Però Santo Iddio mi viene da dire. Non sempre l'aperitivo deve essere l'unico modo per che un curatore, un giornale, una galleria accolga un artista rispetto ad un altro. Vorrei che ci fosse un po’ di approfondimento vero. Sarebbe bello chiacchierare di più con le persone, dedicare un po di tempo e conoscere quindi veramente l'anima che. Dietro ad una fotografia che distrattamente viene vista su Internet.

Sì, infatti io mi ricordo sempre nel 2005 mi pare che fece una grande discussione con quello che era all'epoca il direttore di case d'aste che poi purtroppo chiuse poi riaperto. Non c'è stato tutto un perché in un momento anche difficile, italiano. Nel 2010 accade un po’ di disastro. E io gli dissi proprio Facciamo questa discussione. Gli dissi proprio non uscite a cercare i talenti come prima facevano. A mio avviso, dico i ricercatori, i nodi di quello che i talent scout che cercavano un po’ che ricerca c'è adesso? E lui mi rispose in maniera molto ironica. Mi disse: Ma tu hai idea di quanta roba? Io ricevo ogni giorno come faccio io. Che però, per dire, i grandi nomi proprio del collezionismo del tipo una Peggy Guggenheim, avessero una curiosità innata che sono stata poi la fortuna degli artisti che sono emersi in determinati periodi storici. No, parlo proprio di artisti, perché ormai per me la fotografia è Arte. Quando si parla di espressione personale, cioè di ricerca. In Italia diciamo non sempre e non voglio generalizzare perché sarebbe stupido. Manca un po’ proprio questa parola. La ricercano i ricercatori oppure ci sono, però mancano poi come di tu gli interlocutori che preferiscono conoscere un artista al tavolo davanti a un aperitivo? Non sempre non possiamo generalizzare, però. Insomma, all'estero è molto più semplice. Purtroppo non è esterofilia. Qui però è molto più semplice perché tu ti puoi proporre, hai la stessa attenzione che ha un altro.

Sono d'accordo assolutamente con te. Oltre al fatto, aggiungo dico una banalità che però c'è. Noi abbiamo sempre un po’ questo, a volte complesso, di inferiorità verso i nostri cugini francesi, verso i portatori così della cultura americana. Per cui un autore a pari livello, a volte di così straniero, vale di più e merita più attenzione rispetto a quello italiano. Non capisco io bene bene, perché però forse fa più figo semplicemente e.

Alcuni colleghi che sono andati, che ne so, dalla foto, dal photo editor, la photo editor del New York Times o del Washington Post e da quasi da perfetti sconosciuti hanno avuto, che ne so, 1 ora di tempo per far vedere le proprie foto. Roba che da qui da noi non so.

Senti, Lorenzo, abbiamo terminato. Però ti faccio una domanda che è un po’ anomala per le interviste, ma alla faccia tutti proprio eh. Esprime un desiderio dopo questo periodo pandemico, dopo questa guerra che ancora purtroppo non è finita. Quindi una catastrofe mondiale di paura e di botto, ma di incertezza. Se tu dovessi esprimere un qualsiasi desiderio, non necessariamente legato alla fotografia, però così di getto istintivamente.

Istintivamente mi verrebbe da dire una cosa che veramente il più comune, il più qualunque uomo della strada, cioè che l'uomo faccia un po’ tesoro di tutto ciò che di negativo accade e succede, per non ricadere più negli stessi errori. E lo dico perché purtroppo ogni volta che accade qualcosa di grande si pensa sempre ad un cambiamento dell'uomo. E questo cambiamento invece purtroppo avviene, ma molto, molto lentamente, in una percentuale veramente bassissima. Invece sarebbe davvero meraviglioso poter poter sapere e poter vedere e guardare con un po’ più di ottimismo al futuro per quello che sarà il mondo, per i miei figli, che ho due figli piccoli, che sto crescendo, quindi. Questo è lo dico perché purtroppo razionalmente invece temo che non sia tanto così, che ogni volta quasi si ricomincia da capo. E come se la generazione che segue la generazione precedente ricominciasse da capo e non facesse tesoro di tutto quello che di buono gli è stato tramandato. Sì, qualcosa si, ma si perde, si perdono in 1000 rivoli le cose buone. E a volte invece rimangono purtroppo dei comportamenti, degli atteggiamenti sì, cattivi, proprio inumani.

È impossibile pensare che in Europa nel 2022 ci sia una guerra di questo tipo è impensabile. È davvero impensabile che ci siano dei cannoni che bombardano delle cose civili. C'è una cosa che ha dell'incredibile. E poi dopo un po diventa anche normale che accendiamo il telegiornale e vediamo i palazzi distrutti. Chi se ne frega. Sono quattro mesi che sentiamo le stesse notizie. Cambi e ti vedi un'altra roba, dice. Vabbeh, cavoli di cavoli di loro, cavoli dell'Ucraina.

Questo vedi, non è assolutamente banale, anzi. Io ritengo che quando utilizziamo la parola banale, ho scritto anche un ode al banale pensa un po anni fa per un evento, perché credo che ci hanno un po’ fregato anche su questo. Il banale, l'uso che facciamo della parola banale sia un po’ proprio questo. Questo modello, anche estetizzante, di una società molto omologata che dice “Vabbè, chissenefrega, non voglio essere banale. No, in realtà io dico proprio invece in questi casi dobbiamo essere estremamente banali che tra l'altro proprio feci una ricerca banale significa un bando che era per il popolo. Cioè l'etimologia della parola viene proprio da ban che era un editto editto che il re mandava ai i popolani. Quindi, anzi, siamo banali perché è assurda una guerra oggi, soprattutto, credo, gli artisti e chi ha voce in capitolo deve prendere posizioni, deve parlare. Dobbiamo un po risvegliarci, se vogliamoun futuro.

Sì, perché vedi tutto e tutto, poi piegato e asservito a quello che è la comunicazione mainstream. Cioè, allora scoppia una guerra. Ci sono 15 ore al giorno di diretta, anche per non raccontare a volte niente, tenendoli qui poveri disgraziati col microfono in mano che non sanno più cosa cavolo raccontare. E dopo un po la notizia perde di valore, si sgonfia. La novità non c'è più, non se ne parla più e non si approfondisce. Invece è davvero uno o non si fa una discussione proprio su sull'uomo, su perché accadono determinate cose e cosa ci hanno portato? Cioè invece le televisioni dovrebbero essere riempite da questo, non appunto bypassando, diciamo, la notizia dell'esplosione della morte, che è sempre una cosa, come dire che va, che va messa in primo piano, ma poi dopo bisogna capire il perché avvengono queste cose ed è lì che noi possiamo ottenere un percorso formativo.

Sentendo parlare persone più capaci di noi, più più più filosofi, studiosi ecc. Il sociologo, quello che vuoi politici, ma in modo come dire serio, non per dire.

No, informativo, culturale, no. È una bella battaglia. Io ho molta fiducia perché ritengo che ancora al mondo ci sono tanti elementi positivi, tanta bella gente. Se ci influenzano, si mandano messaggi giusti, possono cambiare le cose. Cioè io la voglio vedere così, sennò diventerebbe veramente, proprio per le generazioni future, un delirio. Dobbiamo avere il coraggio un po’ di denunciare, di fare. Io sono sempre stata un po’ ribelle e mi piacciono le persone che hanno cose da dire proprio su determinati temi. Come dici tu nel 2022 è inconcepibile che ci sia una guerra oggi. Cioè? Ma stiamo scherzando? E poi per cosa? Per un pezzettino ti terra, ti serve a meri scopi economici. Quindi vabbè, fortunatamente ci siamo, siamo molti. Io credo quindi dobbiamo riuscire a essere positivi.

Me lo auguro, me lo auguro.

Lorenzo? Io ti ringrazio tanto.

A te, Grazie a te.

Ciao a tutti e grazie. Grazie per l'ascolto a te.


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